IL TRIBUNALE
    Rilevato che con  ricorso  depositato  il  16  settembre  1991  il
 Concordato  preventivo Morini Giuseppe ha proposto appello avverso le
 sentenze (parziale e definitiva) in data 30  gennaio  1991-19  giugno
 1991,  con le quali il pretore-giudice del lavoro di Ravenna, sezione
 distaccata di Lugo, lo aveva condannato  a  risarcire  al  dipendente
 Fabrizio  Bernardi  nella misura del 70% (avendo ritenuto un concorso
 di colpa del lavoratore quantificato nel 30%) i danni (biologico, mo-
 rale e patrimoniale) conseguenti ad infortunio  sul  lavoro  (perdita
 dell'occhio   sinistro)   dallo   stesso   patito   e   a  rimborsare
 all'I.N.A.I.L. (nei limiti della ritenuta responsabilita')  le  somme
 erogate al lavoratore;
    Rilevato che l'appellante ha chiesto in principalita' l'esclusione
 della  propria responsabilita' e, in subordine, l'attribuzione di una
 maggiore responsabilita' (quanto meno nella misura del 50%) a  carico
 dell'infortunio nonche' l'esclusione o la riduzione di alcune voci di
 danno;  che  l'appellato  Bernardi  si  e'  costituito  chiedendo  la
 conferma dell'impugnata sentenza,  mentre  l'I.N.A.I.L.  ha  proposto
 appello  incidentale, assumendo che la responsabilita' dell'incidente
 va attribuita per intero o, quanto meno, in percentuale non inferiore
 all'80% al datore di lavoro;
    Ritenuto che da  quanto  sopra  discende  che  una  variazione  in
 diminuzione  o  della  percentuale  di  responsabilita' del datore di
 lavoro o degli importi liquidati per le varie voci di danno  potrebbe
 incidere negativamente o sulle spettanze del lavoratore infortunato o
 sull'ammontare   del   rimborso  spettante  all'I.N.A.I.L.  ai  sensi
 dell'art. 1 del decreto del Presidente  della  Repubblica  30  giugno
 1965, n. 1124;
    Ritenuto  che  l'indicata questione, dopo la decisione della Corte
 costituzionale   27   dicembre    1991,    n.    485,    dichiarativa
 dell'illegittimita'  costituzionale  del  predetto  art.  11, primo e
 secondo  comma  "nella  parte  in  cui  consente  all'I.N.A.I.L.   di
 avvalersi,  nell'esercizio  del diritto di regresso contro le persone
 civilmente responsabili,  anche  delle  somme  dovute  al  lavoratore
 infortunato   a  titolo  di  risarcimento  del  danno  biologico  non
 collegato  alla  perdita  o  riduzione  della  capacita'   lavorativa
 generica",  si  riflette in concreto sull'esistenza o non del diritto
 dell'I.N.A.I.L. di avvalersi ai fini del regresso anche  delle  somme
 dovute  al  lavoratore  a titolo di risarcimento del danno morale (e,
 difatti, le opposte tesi sono sostenute in  causa  dalla  difesa  del
 lavoratore infortunato e da quella dell'I.N.A.I.L.);
    Ritenuto  che  la  Corte  costituzionale con la sentenza 18 luglio
 1991, n. 356, nel  dichiarare  l'illegittimita',  per  contrasto  con
 l'art. 32 della Costituzione, dell'art. 1916 del c.c. "nella parte in
 cui,   in   tema   di   assicurazione   contro   i   danni,  consente
 all'assicuratore  di  avvalersi,  nell'esercizio   del   diritto   di
 surrogazione  nei  confronti del terzo responsabile anche delle somme
 da questi dovute all'assicurato a titolo di  risarcimento  del  danno
 biologico",   ha   invece  indicato,  nella  parte  motiva,  che  "la
 dichiarazione di incostituzionalita' non  puo'  estendersi  a  quanto
 attiene  al  risarcimento  del  danno morale di cui all'art. 2059 del
 c.c. o ad altre ragioni risarcitorie parimenti  non  assistite  dalla
 garanzia di cui all'art. 32 della Costituzione);
    Ritenuto  che  la  predetta  argomentazione  della  Corte  risulta
 applicabile anche all'azione di regresso spettante all'I.N.AI.L.  nei
 confronti  delle persone civilmente responsabili (e, difatti, la gia'
 ricordata  sentenza  27  dicembre  1991,  n.   485,   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 11, primo e secondo comma,
 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  1124/1965  solo  con
 riferimento  al  danno biologico) e che tuttavia l'affermazione della
 Corte costituzionale (peraltro contenuta  solo  nella  parte  motiva)
 sembra  non  tenere  adeguato conto della natura e del modus operandi
 del  danno  morale,  che  non  ha,  ovviamente,  natura  economica  e
 costituisce  pur  sempre  una  lesione  della salute psico-fisica (in
 particolare della salute psichica) incidendo, appunto,  sulla  psiche
 dell'interessato  e  spesso  in  maniera  estremamente  rilevante  in
 particolare quando, come nella specie, il danno  morale  direttamente
 consegua  ad  una  malattia  subita dallo stesso soggetto interessato
 (del resto sembra illogico considerare danno  alla  salute  il  danno
 alla  vita  di  relazione  e non il danno morale che pure vi e' quasi
 sempre inestricabilmente connesso);
    Ritenuto  che  al  risultato  di  esclusione  del   danno   morale
 dall'azione  di  regresso dell'I.N.A.I.L. si potrebbe pervenire anche
 in sede di interpretazione del disposto  degli  artt.  10  e  11  del
 d.P.R.  n.  1124/1965 alla luce dei criteri interpretativi ricavabili
 dalle gia' citate sentenze della Corte costituzionale n.  356/1991  e
 n.  485/1991, che hanno ritenuto la copertura assicurativa I.N.A.I.L.
 collegata "esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico-fisica
 ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre  nessun  rilievo
 assumono   gli  svantaggi,  le  privazioni  e  gli  ostacoli  che  la
 menomazione comporta con riferimento agli altri ambiti e  agli  altri
 modi  in  cui  il  soggetto  svolge la sua personalita' nella propria
 vita", sicche' risulta illogico, una volta escluso  che  l'indennizzo
 I.N.A.I.L.    riguardi   "l'intero   danno   alla   persona"   (Corte
 costituzionale n. 485/1991), consentire  l'esercizio  dell'azione  di
 regresso  su  indennita' dovute all'infortunato per voci di danno non
 coperte dall'assicurazione, ma che  una  tale  interpretazione  della
 norma  da  parte  del  giudice  ordinario  si  porrebbe  in  radicale
 contrasto con la costante giurisprudenza di merito e di  legittimita'
 (cosiddetto   "diritto   vivente"),   che  ritiene  pacificamente  la
 ripetibilita'  del  danno  morale  con  l'esercizio  dell'azione   di
 regresso  esercitata  dall'I.N.A.I.L.,  e  va,  quindi  riservata  al
 giudice  delle  leggi,  anche sotto l'aspetto dell'illogicita' di una
 disposizione    che    consente,    nell'interpretazione    corrente,
 l'"esproprio"  a favore dell'assicuratore e a danno del lavoratore di
 un risarcimento riguardante un danno non coperto dall'assicurazione;
    Ritenuto che, pur se  la  questione  che  qui  interessa  riguarda
 specificamente  e  direttamente  la  disposizione di cui all'art. 11,
 primo e secondo comma, del d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124,  essa
 logicamente   investe   anche,   in   particolare   alla  luce  delle
 considerazioni sopra svolte in ordine alla necessaria  corrispondenza
 fra copertura assicurativa e azione di regresso dell'assicuratore, la
 disposizione  (che  ne  costituisce  il  logico  presupposto)  di cui
 all'art. 10, sesto e settimo comma, dello stesso d.P.R., nella  parte
 in  cui  prevede  che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa
 hanno diritto, nei confronti delle  persone  civilmente  responsabili
 per  il  reato  da  cui l'infortunio e' derivato, al risarcimento del
 danno morale solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile,
 complessivamente considerato,  superi  l'ammontare  delle  indennita'
 corrisposte dall'I.N.A.I.L.;
    Ritenuta  la rilevanza della prospettata questione di legittimita'
 costituzionale ai fini della  decisione  della  controversia  di  cui
 trattasi;